Il sottile confine tra ecosostenibilità e greenwashing

Nonostante l’emergenza sia evidente ormai da decenni, fino a poco tempo fa la vena green non era che un vezzo da hippie ribelli; quel genere di cosa che fanno “i…

Nonostante l’emergenza sia evidente ormai da decenni, fino a poco tempo fa la vena green non era che un vezzo da hippie ribelli; quel genere di cosa che fanno “i giovani” per sentirsi invincibili e parte di qualcosa.

Per i Baby Boomer, figli dell’esplosione di mercato, la parola d’ordine è sempre stata “Comodità”; un’esigenza che trascende ogni dilemma etico e a cui la GDO ha risposto per anni con monoporzioni, bibite formato borsa e grissini in confezioni da 30 grammi.

Non c’è da biasimarli poveri Boomers. Non è colpa loro. Se cresci considerando una conquista il gelato della domenica è ovvio che il boom economico te lo vivi come il paese dei balocchi (e non si è mai sentito che Lucignolo insegnasse a Pinocchio a fare la differenziata).

Poi però i loro figli sono cresciuti, e qui iniziamo a storcere il naso perché La Generazione X non era completamente aliena al concetto di ecosostenibilità e in quegli anni l’emergenza rifiuti e il surriscaldamento globale iniziavano a farsi sentire.

Se ne parlava ai bambini, delegando il problema alle nuove generazioni senza preoccuparsi troppo di seguire le stesse regole che stavano acquisendo loro.

<<Su tesoro, metti la bottiglia nel sacchetto giusto come ti hanno insegnato a scuola. >>. Per poi scegliere al supermercato un invitante cubo di plastica ripieno di zucchine. Di solito 4.

I grandi brand hanno per molto tempo evitato di trattare l’argomento, troppo spaventati dall’idea di perdere fatturato e prestigio o, in gran parte, ignari dell’impatto che certe scelte avrebbero avuto sulla loro reputazione. Quando i toni si sono alzati, molti di questi hanno iniziato a giocare con slogan e colori, suscitando quell’ilarità pirandelliana da vecchia imbellettata che si è presto trasformata in rabbia e sfiducia.

I Millennials sono cresciuti e, oltre a ricordare la lezione, hanno imparato ad aguzzare la vista e a scavare tra i meandri della rete.

Le operazioni di greenwashing non sono più solo ridicole ma anche estremamente fragili e dannose per la reputazione di un brand. Non è più possibile seppellire l’errore sotto strati di parole e sorrisi da reclame anni ’80. Se è successo, Internet lo sa.

A complicare la situazione sono poi le associazioni ambientaliste, gli attivisti, gli accordi internazionali e, ovviamente, i social network; dove molti consumatori (e non) si annidano con il proprio fucile di precisione ad attendere la vittima del mese.

Su ragioni e opinioni non serve dibattere; a prescindere da queste, ciò che emerge è il delinearsi di un consumatore sempre più consapevole e votato alla ricerca di risposte. L’evolversi delle sue scelte d’acquisto ha già dato vita a nuovi prodotti e soluzioni e preannuncia un impatto esponenziale sulle aziende che sceglieranno di ignorare questo nuovo bisogno.

Per i nuovi consumatori, l’ecosostenibilità non è mero valore aggiunto, ma una responsabilità sociale che, all’acquisto, sposta la mano dalla grande marca alle nuove proposte apparentemente di nicchia; pur sacrificando il risparmio.

Secondo uno studio Nielsen, nel 2015 il 52% dei consumatori italiani era già disposto a pagare un prezzo più alto per privilegiare un prodotto ecosostenibile.  Un dato in crescita del +7% rispetto all’anno precedente.

La crescente preoccupazione e il dibattito sul tema hanno anche contribuito ad avvolgere queste scelte di un alone di prestigio e affermazione sociale. Il consumatore sostenibile è un consumatore colto, coscienzioso e quindi migliore della media; fiero fautore del cambiamento nel proprio quotidiano.

A raccogliere il testimone dell’ecosostenibilità non sono solo i millennial ma anche i giovanissimi, che si sfidano a colpi di eco-challenge sui loro social preferiti. Sfoggiano fieri i propri acquisti green, screditando i prodotti scelti dai genitori o gli snack proposti nei distributori della scuola. Il loro impegno è reale e si aspettano lo stesso dai brand con cui dialogano ogni giorno. L’ecosostenibilità si dimostra quindi un asset strategico fondamentale per assicurarsi la loro fiducia e, data la crescente consapevolezza, una scelta da non adottare senza le dovute cautele.

La guerra dei dati

In un panorama di opinioni contrastanti, la vittoria si conquista dati alla mano. Non importa quanti esperti ti includeranno nella propria lista dei buoni, o quanti giornali elogeranno le tue scelte green; se non potrai provarlo, basterà un ragazzino con qualche migliaio di like su Instagram ad abbattere mesi di campagna.

La visione di insieme

Se scegli di comunicare un cambiamento, assicurati di avere tutti gli strumenti per essere coerente con quel messaggio e in grado di rispondere alle obiezioni dei tuoi clienti.

Come ogni strategia che tocca valori etici, l’ecosostenibilità richiede un cambiamento che va ben oltre il prodotto. Molti brand scelgono di inserire collezioni etiche in negozio, ritirare prodotti usati e sostituire le buste di plastica con altre di carta, ma solo in pochi sono in grado di collegare l’operazione a una reale ristrutturazione di impresa.  Se proponi al tuo cliente una selezione di abiti ecocompatibili e scarpe in plastica riciclata, qualcuno si chiederà da dove arrivano le tue materie prime, chi ha separato quella plastica e in quali condizioni di lavoro e, soprattutto, perché la proposta green rappresenta solo il 5% del tuo catalogo.

Marianna Moni

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