Archetipi e Stereotipi: come la nuova normalità spinge a ripensare la narrazione del brand

Per anni la pubblicità si è basata su idealizzazioni e stereotipi, al punto che molti di questi si sono trasformati in metafore quotidiane. Tra i più famosi troviamo “la famiglia…

Per anni la pubblicità si è basata su idealizzazioni e stereotipi, al punto che molti di questi si sono trasformati in metafore quotidiane. Tra i più famosi troviamo “la famiglia del Mulino Bianco”, per anni identificata come rappresentazione di famiglia serena e genuina. Queste semplificazioni della realtà sono state a lungo abusate dai pubblicitari perchè facilitano enormemente la comunicazione di una brand identity. La loro decodificazione è immediata ed è inevitabile associarle a specifici valori.

Stereotipi: un problema di credibilità

Il problema degli stereotipi è che, essendo legati alla nostra percezione della realtà, sono destinati a perdere, e spesso invertire, il proprio valore appena questa percezione si evolve. La profonda evoluzione dei modelli familiari a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ha costretto molti brand, primo fra tutti Mulino Bianco, a ripensare la propria rappresentazione di colazioni e merende in famiglia. Inoltre, gli stereotipi si rivelano spesso un’arma a doppio taglio per il posizionamento, poichè sono talmente banali e perfetti da portare il consumatore ad associare il brand a qualcosa di ovvio e lontano dalla realtà e, di conseguenza, non desiderabile.

Diversa natura hanno invece gli archetipi, modelli di selezione con cui il nostro cervello semplifica la realtà. A differenza degli stereotipi, questi modelli non si costruiscono attraverso esperienze e racconti, si formano in modo spontaneo nei nostri primi anni di vita e diventano condivisi e noti nella società.

Perché scegliere la narrazione per archetipi

In un periodo di forte stress e incertezza come quello che stiamo vivendo, il nostro modo di vivere la quotidianità e percepire i consumi sta profondamente cambiando. I nuovi paradigmi generati dalla quarantena hanno avuto tutto il tempo di stabilizzarsi e sostituire vecchie abitudini, distruggendo gran parte degli stereotipi su cui facevano leva i brand.

Per fare un esempio, sarà molto difficile per un brand del settore food far leva sulla tristezza della pausa pranzo per offrire la propria alternativa sfiziosa o paragonare il proprio prodotto surgelato alla pizza sfornata dal ristorante. In oltre due mesi di quarantena abbiamo avuto il tempo di abituarci ai pasti fatti in casa e a quella lentezza che avevamo perso tra il traffico cittadino e le urgenze dell’ufficio. Non desideriamo più le stesse cose e non abbiamo fretta di tornare a desiderarle.

Per poter sopravvivere al cambiamento, ai brand è richiesto quindi un attento lavoro di voice of customer, per comprendere i nuovi bisogni, e l’abbandono della narrazione per stereotipi. Piuttosto che idealizzare la famiglia e la quotidianità, condita con l’ormai stucchevole auspicio al “tornare a come prima”, occorre ricominciare a lavorare sugli archetipi alla base di questi concetti, esplorando le opportunità che possono scaturire dalla loro evoluzione.

La nuova analisi sposterà quindi il focus dalla narrazione della colazione perfetta al concetto di colazione, concentrandosi su quegli elementi emozionali in grado di renderla un momento familiare e piacevole, a prescindere dal contesto in cui la viviamo.

Ne abbiamo parlato al Modelstorming del 15 maggio con Mariano Diotto, che ci ha spiegato come il lavoro sugli archetipi sia strettamente legato all’osservazione e alla decodificazione delle correlazioni deboli, quei comportamenti apparentemente irrilevanti ma che, se analizzati su larga scala, possono identificare consapevolezze ed esigenze condivise da ampie sezioni di pubblico.

Lavorando su ciò che è noto e condiviso possiamo identificare comportamenti comuni ma banali, analizzando le correlazioni deboli possiamo identificare comportamenti residuali ma comunque diffusi e ripetitivi ed identificare nuovi bisogni latenti.

Mariano Diotto

Marianna Moni

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