Crisi Melegatti: basterà un hashtag a risollevare le sorti di chi distrugge il suo stesso brand?

Come da tradizione, iniziata la stagione natalizia pandori e panettoni sono tornati a popolare gli scaffali dei nostri supermercati. Quest’anno però abbiamo rischiato di non trovare il tradizionale packaging blu…

Come da tradizione, iniziata la stagione natalizia pandori e panettoni sono tornati a popolare gli scaffali dei nostri supermercati. Quest’anno però abbiamo rischiato di non trovare il tradizionale packaging blu e dorato, a causa di una crisi profonda che ha messo in ginocchio la storica azienda Melegatti.

Crisi Melegatti: la situazione

All’inizio di ottobre, novanta dipendenti erano in cassa integrazione, l’intera produzione era stata messa in stand-by e il Natale si prospettava senza il tradizionale Pandoro di Verona. I fornitori di Melegatti avevano interrotto la collaborazione, esasperati dai ritardi nei pagamenti e oltre 300 lavoratori stagionali non potevano più contare sul proprio stipendio.

Al momento della scrittura, Melegatti vede un barlume di speranza, dopo l’esito positivo della procedura di concordato con il Tribunale di Verona e l’intervento di pool di investitori che ha foraggiato la produzione natalizia. Melegatti sembra aver già coperto le vendite necessarie per smaltire la produzione effettuata last-minute (soprattutto grazie alla grande mobilitazione dei consumatori, offline e nei social). Tuttavia, non potrà continuare a produrre pandori e panettoni per questo Natale, dato il ritardo sulla tabella di marcia che costringerebbe l’azienda del Pandoro originale a slittare dopo la peak season, svendendo i prodotti. I riflettori si spostano così sulla campagna pasquale e il fiato è ancora sospeso per le sorti dei dipendenti.

Le pericolose scelte strategiche del 2017: il nuovo stabilimento

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire alcune delle scelte strategiche che hanno portato Melegatti sull’orlo del baratro.

Il Pandoro, nella sua ricetta tradizionale, fu brevettato dal veneto Domenico Melegatti nel lontano 1894. Fu proprio Melegatti a conferirgli il nome, la forma a stella a otto punte e il sapore che tutti noi conosciamo. Il Pandoro Melegatti è diventato ormai simbolo di tradizione e famiglia ed è talmente ben posizionato che il suo packaging blu e oro è ormai un visual hammer fortissimo. Un visual hammer che richiama il Pandoro Melegatti, non le merendine Melegatti. È proprio questo uno dei punti dolenti delle mosse strategiche dell’azienda di Verona negli ultimi anni.

Dopo aver chiuso il 2016 con un fatturato da 70 milioni di euro e debiti per 30,all’inizio del 2017 Melegatti aveva annunciato l’apertura di uno stabilimento interamente destinato alla produzione di croissant. Un rischioso investimento da 15 milioni su una linea di prodotto non differenziante per l’azienda, giustificato esclusivamente dalla necessità di slegarsi dalla stagionalità dei prodotti natalizi. Secondo le previsioni, i costi sarebbero dovuti rientrare in seguito al fisiologico aumento di fatturato derivante dalla vendita di un maggior numero di merendine. Tuttavia questa scelta ha avuto ricadute gravi nell’immediato, mettendo in crisi il prodotto principale dell’azienda:

A distanza di pochi mesi dall’apertura dello stabilimento, la produzione per la stagione natalizia – ovvero quella più redditizia per Melegatti, pari al 70% dell’intero fatturato non è stata avviata, data una crisi di liquidità e la conseguente impossibilità di pagare dipendenti, bollette, fornitori e arretrati.

La produzione è poi partita in extremis a fine novembre, garantendo di conseguenza quantitativi (e conseguenti entrate) limitati.

Aveva senso estendere la linea produttiva sui croissant?

Diluire un brand così forte, collocato al “top of mind” per la produzione del Pandoro nella sua ricetta autentica, non è stata una scelta vincente e lo si poteva prevedere a monte.

Chi compra Melegatti lo fa perché è certo di acquistare un Pandoro realizzato secondo la ricetta originale dell’azienda che lo produce da sempre.

Fatta questa precisazione, una nuova linea produttiva interamente dedicata alla produzione di croissant a marchio Melegatti appare immediatamente rischiosa, dato che la positiva percezione associata al brand viene enormemente depotenziata nel momento in cui scorporiamo Melegatti dal Pandoro e altri dolci da ricorrenza.

Il forte legame fra Melegatti, tradizione e italianità

Rinforzo della tradizione del Pandoro originale, prodotto da 123 anni:

Rinforzo dell’associazione fra la tradizione italiana e il Pandoro:

Diverso sarebbe stato se Melegatti avesse avviato già nel 2011 un’estensione di produzione per i croissant sotto un nuovo marchio e puntato su iniziative di comunicazione volte ad aumentarne la visibilità e migliorarne la percezione. Il nuovo marchio avrebbe acquistato facilmente autorevolezza grazie alla tradizione dolciaria di Melegatti, l’azienda del Pandoro, l’originale.

Un’altra strada possibile poteva consistere nel puntare sui prodotti da ricorrenza anche durante le feste minori, come la Festa della Donna, Carnevale, Halloween. Una strategia simile avrebbe permesso di:

  • pianificare correttamente la produzione (ovvero approvvigionamento di materie prime, lavoratori, etc.) poiché si sarebbe svolta in funzione di ricorrenze a scadenza fissa, limitando dunque i costi
  • rimanere coerenti con l’identità di marca (focus sulla tradizione dolciaria per le ricorrenze)
  • puntare su edizioni limitate, che riscuotono successo e stimolano la domanda

Le decisioni dell’azienda veronese hanno visto invece come preminente la necessità di avvicinare i giovani consumatori con iniziative che hanno messo a rischio la percezione diffusa del marchio.

La deriva social di Melegatti: barattare la propria identità per raggiungere un target più giovane

Le scelte di marketing incoerenti con la brand identity di Melegatti hanno radici negli scorsi anni. Prima la selezione di Valerio Scanu come testimonial, nonostante non incarni il senso di “tradizione”, “riconoscibilità” e “sicurezza” di Melegatti. Poi un’edizione limitata a lui dedicata (con packaging nero, eliminando così ogni segno di riconoscibilità del brand) e infine una social media strategy che spesso utilizza un tono di voce non in linea con i valori veicolati dal brand:

Un hashtag può risollevare le sorti del brand?

Sì, se è parte di una corretta comunicazione del proprio posizionamento, seguita da un piano di investimenti che garantisca la regolare produzione. Abbiamo visto cosa può accadere intraprendendo azioni strategiche orientate ad aumentare il fatturato senza una visione d’insieme coerente con l’identità di marca.

Per ritrovare il pandoro originale sugli scaffali anche il prossimo Natale e recuperare la propria posizione nella mente dei consumatori, la fedeltà ai propri valori e alla propria brand identity devono tornare ad essere il faro della strategia aziendale.

Carlotta Silvestrini

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