Tutti possono fare un Business Plan. Ma come?

Tutti sanno fare un Business Plan come tutti sanno fare un cerchio a mano libera. Più o meno. Il grado di sofisticazione richiesto dipende dal suo utilizzo e da quanto…

Tutti sanno fare un Business Plan come tutti sanno fare un cerchio a mano libera. Più o meno. Il grado di sofisticazione richiesto dipende dal suo utilizzo e da quanto pensiamo che quel documento, se di documento si tratta, sia uno strumento utile per supportarci nell’evoluzione della nostra organizzazione. In qualsiasi forma un Business Plan venga redatto la finalità dovrebbe (urge il condizionale) essere sempre la stessa: Plan = Piano e Business = azienda/affari. Piano per l’azienda. Avere un piano per fare business presuppone alcuni punti di partenza di base:

  • Sapere chi sono
  • Sapere dove sono
  • Sapere dove voglio andare
  • Sapere come andarci
  • Sapere quanto costa andarci (in termini di sforzi economici e rischio)
  • Sapere cosa fare quando sbaglio strada o quando incontro ostacoli

STOP. Se manca uno di questi elementi siamo davanti a qualcos’altro. A seconda dei casi: un libro dei sogni, un sofisticato esercizio numerico, una presentazione aziendale, un brainstorming, una to-do-list…

Prevedere o pianificare?

Il processo di pianificazione aziendale nacque all’alba degli anni 50 quando economisti come Peter Drucker e Henri Fayol identificarono nei manager il compito di “pianificare, organizzare, coordinare, gestire, controllare”. MBO occidentali o piani quinquennali delle nazioni comuniste sembravano accomunati dalla simile tendenza nel credere che il futuro si sarebbe realizzato se fosse stato pianificato. Come evoluzione successiva le grandi aziende hanno iniziato a strutturarsi con dipartimenti di pianificazione strategica che, per dirla alla Minzberg, consistevano “in un sistema formalizzato finalizzato alla codifica, elaborazione e operazionalizzazione delle strategie che le aziende già avevano in essere”. Il ruolo di “pianificatore strategico” è quindi divenuto per lunghi anni sinonimo di tizi incravattati gerarchicamente vicini al C-level che raccoglievano numeri, li elaboravano con sofisticati modelli xls e preparavano, assieme a consulenti lautamente pagati, powerpoint esteticamente appaganti e ricchi di minuziosi dettagli. Tre criticità logiche e di processo impattavano, ma questo avviene ancora oggi, negativamente sulla possibilità di utilizzare un Business Plan come strumento realmente utile:

  1. Il percorso di raccolta ed elaborazione impiegava mesi diventando quasi obsoleto nel momento della sua approvazione
  2. Poco era declinato rispetto alle attività operative che sarebbero dovute essere intraprese a più livelli dell’organigramma
  3. I numeri ivi esposti erano avulsi da qualsiasi concetto di probabilità, sia rispetto al numero stesso sia rispetto all’orizzonte temporale. Per come sono esposti la maggior parte dei Business Plan un obiettivo di ricavo è dato con probabilità 100% e i ricavi del 2021 hanno la stessa probabilità di avverarsi dei ricavi del 2025.

L’utilizzo del Business Plan è così divenuto un documento dall’utilizzo limitato sul quale i fondi di Private Equity aggiustano i loro earnouts e le banche valutano i loro fidi. Approvato a Dicembre, a Marzo è già divenuto polveroso supporto per il monitor del PC.

Come se non bastasse, il processo di Business Planning è stato per lungo tempo irreversibilmente impattato da metodologie di fondo errate, incentivi individuali, e bias cognitivi. Un esempio?

  • Elaborazione delle aspettative di crescita (la decrescita l’hanno sempre pianificata in pochi ma accade più della crescita) costruite su visioni Top-down irrealistiche
  • Approcci Bottom-up estremamente conservativi (sand-bagging) costruiti in totale assenza del concetto di rischio nelle decisioni strategiche
  • Sistematica elusione di tutto ciò che incorpora decisioni rischiose e consecutiva rinuncia alla ricerca di innovazioni dirompenti nonché stravolgimenti di modelli di business, seppure potenzialmente profittevoli

Risultato? Se il rischio non è incoraggiato, né preso in considerazione, un manager opterà per obiettivi che presentano un intervallo di confidenza raggiungibile, e quindi estremamente conservativo, lasciando agli anni futuri le floride, quantomai vaghe, aspettative di Ricavi ed Ebitda (effetto hockey stick). Il grafico di seguito riassume l’evoluzione della maggior parte dei Piani Industriali nei quali ci siamo imbattuti. Il grafico è tratto da McKinsey: “Mal comune mezzo gaudio”. Funziona a piacimento con Ricavi, Ebitda, Utile o PFN.

In antitesi a questo approccio monolitico si è posto il mondo Startup (anche se la maggior parte dei VC nostrani vogliono vedere un BP super analitico) che ha talvolta sviluppato una profonda repulsione per tutto quanto somigliasse ad un processo di pianificazione obsoleto, lento e inutile. In un impeto di Anti-Planning, si è diffuso in alcune Startup il pensiero che, con l’utilizzo di Agile, strutture gerarchiche piatte, validazioni e sprint, la pianificazione fosse inutile, e che le cose accadessero tentando un po’ di azioni alla rinfusa e tarando il tiro di volta in volta. Il risultato è stato per molti drammatico: migliaia di euro (se non milioni) spesi a sviluppare prodotti che non servivano a niente o che trovavano clienti solo se venduti sottocosto. Conti corrente improvvisamente vuoti. Game over con buona pace dei dipendenti, della mamma che ha prestato i soldi e della banca che aveva ricevuto un bel xls fatto dal commercialista che diceva che i ricavi dovevano aumentare del 40% annuo. Sulla base di cosa non si sa…ma d’altronde “quello non è mica compito di chi fa l’excel”. 

La giusta via tra rigida pianificazione e soluzioni pressapochiste

“Planning is everything. The plan is nothing”.

Eisenhower

Imperativo è ripensare il ruolo della pianificazione ristrutturandolo attorno al concetto di Pianificazione Agile che deve abbracciare una rivisitazione culturale dell’organizzazione (in cui la pianificazione è perlopiù decentralizzata, il decision making avviene anche alla base della struttura gerarchica, priorità e risorse sono autonomamente allocate dai singoli reparti) e che, secondo HBR, si rispecchia nelle seguenti caratteristiche:

  • Framework e strumenti di lavoro;
  • Capacità di adattarsi e affrontare cambiamenti dinamici e frequenti
  • Momento di incontro finalizzati ad una vera conversazione strategica piuttosto che discussione numerica
  • Allocazione di risorse finanziarie disponibili in maniera flessibile per cogliere le opportunità contingenti (vi ricorda niente il: “per quest’anno non abbiamo budget?”)

In aggiunta, 3 elementi non devono essere confusi: “obiettivo”, “strategia”, “azione”.

Obiettivo è cosa vogliamo ottenere, Strategia è come muoversi in termini di posizionamento sul campo di gioco (e questo non può non tenere in considerazione il campo, ovvero il mercato; chi gioca, ovvero i competitors); Azione è day-by-day a più livelli nell’organizzazione.

Pianificazione strategica è dunque perseguire gli obiettivi dell’organizzazione e disporre i fattori che creano valore agli stakeholders. E’ chiaro poi che strategie finalizzate al raggiungimento di obiettivi necessitino di azioni che tramutano un esercizio, altrimenti teorico, in concretezze operative. L’unione delle azioni implica quindi processi e disegno del sistema. Andando per Step, riteniamo che questi siano i corretti passaggi per predisporre un Business Plan con un reale utilizzo per l’azienda:

Definizione di obiettivi

  • Quale è il mercato in cui opero?
  • Chi sono i miei concorrenti e come si muovono?
  • Quali i miei elementi differenzianti? (attenzione, non sono propriamente quelli che vengono auto-definiti in una SWAT analysis ma sono quelli che il cliente riconosce). 80% degli executives credono che il loro prodotto sia meglio della concorrenza, visione condivisa solo dal 8% dei clienti (Cit. Dodd e Favaro 2007)
  • Quali obiettivi per il futuro?

Disegno del sistema

  • Quale modello di business è funzionale al raggiungimento degli obiettivi?
  • Di quale struttura finanziaria e organizzativa dotarsi?

Disegno della strategia

  • Quali sono le mosse? (un’acquisizione, un nuovo prodotto, una nuova figura manageriale?)

Definizione delle Azioni

  • Chi ha in carico cosa?
  • Quali i processi?

Convivere con l’incertezza

  • Cosa può andare storto?
  • Come comportarsi se qualcosa va storto?
  • Con quale probabilità ciò che si pensa succederà, succederà?

Infine e solo infine

  • IF THEN….ovvero, alla luce di quanto sopra, quali proiezioni economico/finanziarie esprimerà, verosimilmente, l’organizzazione?

 Il numero deve essere il punto di arrivo e non il punto di inizio!